Ad arma fideles
Esercizio spirituale concertato (2009)
Testo e Musica di F. Colusso
Commissione di : Ensemble Seicentonovecento (nel IV Centenario di Lorenzo Scupoli)
Ed. Grifo, Lecce, 2014
voce, vc. (6’)
Allegati Audio / Video
Ad arma fideles
Luisa Cosi
Scrive Flavio Colusso: «raccogliamo segni, disegni e architetture di un Autore, sperando coglierne il cuore ri-sonante; ma spesso accade che ci bastino le ragioni che motivano le istanze nostre». È questa l’alea meravigliosa che accompagna, per lo più, il rapporto intercorrente fra compositore e interprete; ovvero, più articolatamente, fra compositore e opera e interprete e ascoltatore. A volte, lo sentiamo bene, in questo mobile sistema di relazioni culturali si apre una rete di suggestioni e di rimandi simbolici così fitta, che la creazione di un’opera musicale, e dunque la sua ri-creazione, il suo ri-conoscimento esecutivo e percettivo, diventano la più potente e misteriosa esperienza di comunicazione, la più ricca e avventurosa opportunità che ancora siano date vivere all’uomo contemporaneo, per condividere pensieri, idee ed emozioni.
La musicale corona d’ascendenza “scupoliana” di cui qui si scrive, potrebbe a questo punto figurarsi anche come un rosario di frattali, pronto ad aprirsi, a gemmare in modo pressoché inesauribile verso le più diverse direzioni: focalizzato e approfondito, ogni dettaglio dei tre brani - composti da tre maestri d’oggi in onore di un antico “servo Teatino” - sembra disponibile a farsi carico di sempre nuove valutazioni tecniche ed estetiche. E un simile labirinto di segni andrebbe poi illustrato con logica verbale, in un traslato di sistemi ‘linguistici’ che è già di per sé un’altra sfida comunicativa.
[…] «Imprescindibile e fondamentale» resta, nel modus componendi di Flavio Colusso, «il rapporto testo-musica, anche laddove le parole non sembrano presenti». Ponendo costantemente a confronto i due sistemi simbolici, questo immaginifico discepolo di Domenico Guaccero e Franco Evangelisti (nonché, idealmente, di Arvo Pärt e Pawel Szymanski, per citare solo alcuni referenti “moderni”, in un elettivo peregrinare dentro l’”antico”), sembra ogni volta volerne mettere a nudo la analoga funzione “comunicativa”, ovvero la comune radice “linguistica”. Quella radice, cioè, che tanto nel suono quanto nella parola, si alimenta di simili parametri spazio-temporali, al fine di connettere fra loro sensazioni, idee, persone. Nel caso dell’“esercizio spirituale concertato”, prassi devozionale cara al Colusso “nuovoantico”, è evidente che tale cooperazione fra musica e parole viene orientata una volta di più con sapiente strategia retorica, così che interprete e ascoltatore siano sollecitati alla più ampia condivisione ed al più efficace riconoscimento delle valenze sottese a suoni organizzati nei modi più suggestivi. Nel limen che corre fra il melos semantizzato dalla parola e la parola accesa e illuminata dalla combinazione dei diversi parametri sonori, la scelta del testo ‘spirituale’ è dunque sempre basilare. Per evocare il nucleo bellicoso del trattatello scupoliano, Colusso pesca fra le sequenze di genere, riutilizzando versi latini che, plinto semantico di suggestive battaglie musical-spirituali combattute lungo tutto il Seicento, egli aveva già usato come chiave di lettura per personali, modernissime riflessioni estetiche.
Le metafore sparse in tali strofe incitanti all’armi, sembrano ben sintetizzare, in effetti, la catechesi di Lorenzo Scupoli. Nella reinvenzione fattane da Colusso, la voce recitante si insinua (come un soffio, ché sempre di battaglia interiore si tratta) fra le nervose e rarefatte sonorità del violoncello solista, generando continui scambi e sovrapposizioni di parametri e di funzioni: solo per breve tratto, sulle parole che offrono pane e cibo di redenzione, è dato al cantante di assaporare il melos, quasi a sottolineare la dolcezza e purezza delle armi salvifiche, a fronte dell’aspra, sotterranea lotta che occorre sostenere contro l’antico serpente. Né il violoncello si limita a intensificare per ipotiposi il senso di queste parole, che evocano intimi furori e mistici trionfi. Con precisa logica formale (portatrice appunto di senso ulteriore), veloci anabasi e catabasi ad libitum, ovvero sinuosi percorsi cromatici, si incastrano fra i ritorni di alcune cellule accordali, che dunque figurano quale struttura portante del brano – significativamente, è questo il fondo armonico su cui fiorisce brevemente il melos di cui s’è detto.
La ripresa costante di tre simili bicordi ascendenti, ogni volta incorniciata da corone (quasi un invito alla meditazione, per un gesto di sospensione e di rarefazione non solo facilmente relazionabile a certo spirito “scupoliano”, ma proprio consono al Colusso delle ultime opere, particolarmente inteso a sottrarre e a cesellare materiali), sembra peraltro evocare e mettere in rilievo antiche sonorità “napoletane” – quasi una distorta eco di quella “scala frigia” che la iatromusica del Seicento riteneva particolarmente confacente alle tensioni emotive più forti, se non proprio agli accessi di furore.
Forse, mi lascio avviluppare un po’ troppo dalla rete di simboli propria di processi cultuali stratificati, ma anche per via di simili reminiscenze sonore, la battaglia organizzata da Colusso contro l’antico serpente, che sempre s’agita nel fondo tenebroso di ciascuno di noi, sembra portar traccia in sé di remote tenzoni contro tarantole luciferine. Quelle velenose tarantole che, emissarie del Demonio nella Terra d’Otranto di Scupoli, anche il clero tridentino s’impegnò a combattere a suon di strumenti e di melodie popolari, cercando di orientare in senso tutto cristiano riti agonici ben più ancestrali.
Ad arma fideles: ad nova bella currite!
Bellum est cum antiquo serpente.
Arma sumite, fideles,
Adversus principes tenebrarum,
Adversus potestates inferorum.
Sumite arma: ecce panis.
Sumite arma: ecce cibus.
Panis fortium, cibus gigantium
In quo est victoria nostra.
In pane vincimus,
In cibo triumphamus.
Cibo electorum saturavit nos Dominus,
Salutari esca replevit os nostrum.
Christum ergo collaudantes triumphantes,
Ad triumphos properemus,
Et ovantes exsaltemus
Nobilis gloriae tropheum.