Il Sangue, il Nome, la Speranza
Esercizio spirituale concertato (2008)
Testo e Musica di F. Colusso
Commissione di : Cappella Musicale Theatina (nel centocinquantesimo anniversario pucciniano)
Ed. LIM [“Musica Theatina”], Lucca [in preparazione]
S, voci rec, voci bianche, arpa, chit, tiorba, pf, org, santur, perc. (ca. 40’)
Allegati Foto Press
Il Sangue, il Nome, la Speranza
Flavio Colusso [Nota dell'Autore]
Composto per il giorno del Patrocinio del Sangue di san Gennaro in occasione del IV Centenario della posa della prima pietra della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro in Napoli, il brano si richiama ai tre enigmi del «San Graal chinese» - come ebbe a definire la sua Turandot Giacomo Puccini - che evocano sorprendentemente i forti simboli della devozione e del mito di san Gennaro, e ha offerto un singolare contributo alle celebrazioni del 150° anniversario della nascita del compositore lucchese. La nuova cantata, nella eco recondita delle citazioni pucciniane indagate fin nelle pieghe più profonde della loro essenza, suggerisce «un’altra chiave» di lettura dell’arte del Maestro: sempre sospesa sul limitare del Sacro. L’evento è stato realizzato nel 2008 con il Patrocinio del Comune di Lucca.
* * *
«Il 16 dicembre è una delle date, le tre nell’anno, che richiama il popolo di Napoli alla venerazione delle reliquie insigni del suo Santo Patrono. Nel 1631 una immane catastrofe provocata da una eruzione del Vesuvio, stava per devastare ancora una volta la Città. L’intercessione implorata del Santo fermò la lava distruttrice alle porte orientali di Napoli e la sua mano, nella statua collocata sul ponte della Maddalena, si leva alta nel gesto imperioso di protezione ed è ancora oggi testimonianza dell’evento. La Cappella Musicale Theatina, con la fedele presenza annuale, al 16 dicembre, rinnova i fasti della santità che ha svolto nei secoli il fedele compito di distribuire al Popolo napoletano il pane della speranza insieme con quello della carità».
Così Vincenzo De Gregorio, Abate Prelato della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro, salutava nel 2007 la annuale presenza della Cappella Musicale Theatina alla festa januariana di dicembre. Nell’anno 2008, la Cappella del Tesoro celebra il IV Centenario della posa della prima Pietra (1608) del sacro tempio che fu progettato dall’insigne architetto Teatino p. Francesco Grimaldi CR (che disegnò anche la basilica di San Paolo Maggiore, la chiesa dei SS. Apostoli e quella di S. Maria degli Angeli a Pizzofalcone a Napoli; la basilica di Sant’Andrea della Valle a Roma; la chiesa di Sant’Irene a Lecce). Tale ricorrenza è sottolineata anche attraverso una testimonianza viva della fraternità con la Città e con i padri Teatini: la nuova Cantata-esercizio spirituale Il Sangue, il Nome, la Speranza composta per il giorno del Patrocinio di san Gennaro dal M° di cappella dei Teatini di oggi.
Questa composizione è una sorta di esercizio, di meditazione sulla antichissima tradizione napoletana viva, operante e ‘pulsante’ che, nella proiezione inedita sul percorso artistico del compositore, si rifrange in una ulteriore concatenazione di ‘voci’ e di simboli: il Sangue-magma che si contrappone misticamente nella duplice immagine Gennaro-Vesuvio; il passaggio dallo stato solido a quello liquido, alternanza tra sonno e veglia, tra morte e ri-nascita; l’evocazione della potenza beneficante attraverso la pronuncia del Nome; la forza vivificante della Speranza; la chiesa di pietra immagine dell’immensità di Dio, Civitas Dei, composta da tutti i cristiani così come l’edificio è composto di pietre: il cuore dell’uomo è il vaso dove avviene la trasfigurazione, arca cordis, arca del cuore in cui è contenuto il “seme celeste”.
Con il richiamo esplicito ai “tre enigmi” dell’opera del «San Graal chinese» (come Giacomo Puccini ebbe a definire la sua Turandot), che evocano sorprendentemente i simboli della devozione e del mito di san Gennaro, questa nuova Cantata, attraverso la eco recondita delle citazioni pucciniane, indagate fin nelle pieghe più profonde della loro essenza, vuole indicare «un’altra chiave» di lettura dell’arte del Maestro: sempre sospesa sul limitare del Sacro.
All’inizio della composizione mentre il Soprano entra lentamente dalla cancellata ‘januaria’ (sopra la quale vi è il busto bi-fronte di san Gennaro) cantando Signore pietà, fuori campo il Coro di voci bianche canta Kyrie eleison (alcuni dei giovani cantori suonano i gong e la didascalia, tratta dal libretto di Turandot, reca: «l’eco delle voci e il suono dei gong si perdono nelle lontananze»). La Voce recitante poi sottolinea il ‘rito di passaggio’: «Attraverso la Porta si accede alla rivelazione: Christus janua, Cristo è la vera porta; “Il Graal è la grazia dello Spirito Santo”. Il Tempio del Graal è quadrato, ma è anche rotondo: dal tempo si passa all’eternità de Tempore in Aevum.
Il Coro delle voci bianche raggiunge la posizione avvolgente del Cerchio intorno al pubblico partecipante: unica figura in cui l’energia trova il suo equilibrio, quella dove il Tempo si annulla in se stesso, dove il lento e il veloce sono uguali, armonici dell’unico suono, dell’unica vibrazione. Il Cerchio-Cubo-prima-Pietra si ‘discioglie’ e trasporta esecutori e partecipanti in un ideale cammino: processione scandita dal suono evocatore che si fa litania, canto antifonale, canto delle ascensioni, agape, rito e benedizioni («E tutto quanto il resto, secondo vuole il rito minuzioso, infinito!»), effetti vocali e ritmi sussultori, come quello delle “Parenti” di san Gennaro o come quelli bisbigliati «a voce bassa, quasi a ritmo di fiabe di bimbi».
Seguendo un’alternanza irregolare di interventi, recitati e cantati su diversi piani espressivi, dalla notizia storica, alla riflessione spirituale, all’introspezione individuale, allo slancio poetico, si percorre una selva di riferimenti e di rimandi. l’Esercizio spirituale è suddiviso in sedici stazioni, o ‘gradini’, e possiamo individuare alcune zone che si ‘aggrumano’ intorno ad alcuni fatti evocati: dopo i riti di passaggio, ecco dunque la benedizione della prima pietra, posta alla base delle fondamenta della chiesa - che è di forma cubica come il “Santo dei Santi” è cubo perfetto – e nel benedirla il vescovo canta: “La pietra scartata dai costruttori è diventata la pietra angolare”; l’Esercizio del silenzio; i riferimenti mariani; la corona dei Santi, filo di perle che ci aiuta a salire i gradini dei “Monti di Dio”; le “Parenti di san Gennaro” che alternando preghiere, grida, invettive e suppliche cantilenano antichi, fondamentali ritmi per ‘provocare’ quelle vibrazioni del cuore necessarie a ‘risvegliare’ la materia; “la Folla” della fiaba pucciniana, il cui carattere principale è la mutevolezza di sentimenti, che si raggruppa pittorescamente e si disperde repentinamente, e che, facile preda di credenze superstiziose e irruente come un fiume in piena, tende le braccia, getta fiori, acclama gioiosamente, si accende, si inquieta, implorando e imprecando verso la Luna definendola «faccia pallida», così come le antiche cugine napoletane gridano al loro Santo «faccia ‘ngialluta»; la scena seicentesca in cui “San Gennaro dentro la fornace” glorifica Dio che fa «nascere fra gl’ardori rose e fiori e cangiar il foco in gelo»; poi, sostenuto e rincuorato dall’angelo suo custode che gli ricorda come: «Temer non può chi in Dio pone speranza!», il Santo saluta la Città e concede il suo Patrocinio: «[...] Partenope mia cara, diletti figli moro ma lascio a voi con il sangue il cor mio. Protegili o Signor, sirena a Dio». Chiude un Coro d’angeli con il tipico ‘cartiglio’: «Vieni al tuo Fattore alma bella e trionfante, vieni o fido amante ad unirti al tuo Signore. Fortunate sirene lungi da incendi e pene sarà lieto ogni cor che tra voi langue se Gennar vi ha lasciato oggi il suo sangue».
Una repetitio, un rito, un metodo per raggiungere la temperatura necessaria e, forse, anche sciogliere gli ENIGMI. Turandot ne proponeva tre: Speranza, Sangue, e il Nome suo, mitica principessa di gelo (il “gelo che dà fuoco”, il cui “profumo è nell’aria e nell’anima” di coloro che sfidano la morte con la vita). Conoscere se stesso è più propriamente vincere se stesso, attraverso esercizi, combattimenti, risonanze, gioie e dolori. Quasi una medicina dell’alba della rinascita, da conservare in ampolla prezïosa.
Il Sangue, il Nome, la Speranza, come in Turandot, alludono bene a istanze che si ritrovano nell’identità profonda della città del presepe. Ed è ancora la Voce recitante che ci invita: «Non dobbiamo perderci, stranieri delle nostre città favolose, ma trasformarci da “Pastori” in “Pastorari” costruttori della meraviglia cui siamo chiamati ad assistere. Non basta guardare: dobbiamo camminare, e camminare facendo lo sforzo di tirarci dietro animali pesanti, dormienti, puzzolenti, recalcitranti. Ecco che in questa Notte – nel segno contrario a quello della principessa Turandotte – il gelo cede al fuoco, e ingrossa il fiume dove scorre il Sangue della vita del Mondo. Luoghi e cose che si inaridivano per gelo o per secchezza o per grassezza, si irrorano finalmente di quel liquore santo, di quel Santo Spirito che ci nutre e ci riunisce in un solo corpo. Noe-noe-noe, canta la Madre; cantano i pastori; cantano gli Angeli: e cantiamo pure noi che non ci meritiamo niente. “Gracias”!».