Le canzoni di Ghisola. Lettere di fuoco... fuoco alle lettere!
Teatro epistolare, per voci e strumenti
testo e musica di: Flavio Colusso
nel centenario della morte di Eleonora Duse (1924-2024)
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Le canzoni di Ghisola. Lettere di fuoco... fuoco alle lettere!
Teatro epistolare, per voci e strumenti [2024]
testo e musica di: Flavio Colusso
nel centenario della morte di Eleonora Duse (1924-2024)
#eleonoraDuse100
Alla morte della Duse, le lettere che Gabriele d’Annunzio scrisse alla grande attrice fin dal 1892 furono date alle fiamme dalla figlia Enrichetta. Tra i pochi fogli superstiti, un telegramma del 1934 a questa indirizzato: «Alla vostra lettera del cinque decembre io risposi con una coraggiosa e intera confessione; ma non la mandai perché mi fu confermata la distruzione delle mie lettere a Ghisola, che è un ingiustificabile delitto contro lo spirito. Quelle tante pagine erano la più alta testimonianza di nobiltà per me e per l’amata. Non è vero che ne riceveste l’ordine da lei. Giuro che non è vero. Ella è sempre accanto a me e parla senza parole». D’Annunzio, invece, conservò le numerose e controverse Lettere ricevute dalla celebre tragica: da queste prende spunto la drammaturgia dell’opera di Colusso e dalle vicende narrate dall’imaginifico nel suo romanzo Il Fuoco (1900) in cui, nella parabola della complessa e tempestosa relazione dei due protagonisti si adombrano le figure dello stesso d’Annunzio e della Duse.
In scena una cantante-attrice dialoga con i fantasmi dei suoi personaggi - «Non la donna, mille donne sento dentro di me» - e con le immagini evocate dai ricordi e conflitti interiori dei lunghi anni della relazione con il Vate con il quale, tra il 1896 e il 1904, fu legata da un ‘patto d’alleanza’ «per riportare in scena l’essenza poetica della vita». Nella stanza: letto, scrittoio, specchio, libri sparsi anche a terra, bauli, una statua antica, «Fiori freschi, bellissimi […] un bel fuoco acceso»; di tanto in tanto l’Artista si china su un vaporizzatore per aspirare camomilla o catrame per curare la sua gola malata. «Gabri / Non sono né bella – né giovane – né allegra – né obliosa – / Non oblierò mai le ore dolci e di speranza – di vita e d’arte – e di nobile pena che ho vissuto accanto a te – pel tuo lavoro – e che ancora m’incantano!».
Il ‘gesto’ stesso della grafia dusiana suggerisce effetti di pittura scenica e mimica: le sue lettere «buttate giù durante l’intenso lavoro interiore, ritmate frase per frase, con gli incisi sottolineati, con i numerosi a capo, [scrive Olga Signorelli, amica, medico e biografa della Duse] temo saranno pienamente intese soltanto da coloro che hanno avuto con lei familiarità di vita o di lavoro. Forse essi soltanto potranno rivivere […] la viva vibrazione del suo spirito, riunire l’impareggiabile voce nelle sue modulazioni e accenti, che traduceva la sua maniera di tuffarsi in un personaggio, o in una situazione […] e cogliere le sottintese intenzioni dell’anima sua».
«Tutti quelli che han sofferto e vissuto prima di me, oggi rivedo in me. […] Vi ho incontrati! Ho creduto nella bella luce che viene dall’anima e forma l’intelletto. – Non vogliatemene se non posso più seguirvi. … io ho sempre udito e sentita la pena vostra, ascoltate la mia – fate di comprendere. – C’è il sole stamane. – La felicità esiste, quelque part, nel mondo, nel cuore nostro, che è il solo mondo tangibile! […] … Sono uscita un momento, sono andata a cercarmi, per me, un rametto d’olivo. Tutta la mia vita randagia mi s’è smossa in cuore toccando quel rametto d’olivo. La pace esiste! / Domani, ma oggi no, domani partirò. / Ogni libro, ha una pagina, ultima… / Il lavoro di Lui fu benedetto, e benedico la sua vita. Ma, io, non posso più far nulla, forse… e dico addio …».